Sindacati: una democrazia a metà?

Posted on 29 febbraio 2012

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– pubblicato su Fainotizia.it, 29 febbraio 2012 –

(riprese e montaggio di Pasquale Anselmi)

Dal 5 al 7 marzo nel pubblico impiego si vota per il rinnovo delle Rsu. Le grosse confederazioni hanno tutti diritti garantiti, mentre gli altri sindacati (anche se maggioritari in un luogo di lavoro) non possono indire assemblee o affiggere volantini in bacheca.
Nel privato va anche peggio dopo il referendum del 1995 che invece di ottenere più democrazia ha lasciato fuori dai diritti sindacali le sigle che non firmano il contratto.
«Sotto il profilo della democrazia sindacale – Arturo Salerni, avvocato del Forum Diritti/Lavoro – siamo oltre la zoppia. Siamo di fronte ad un animale che non cammina».

Ci sono i sindacati confederali, Cigil, Cisl e Uil, le federazioni dei sindacati autonomi (come Confsal) e i sindacati di base (come Cub, Usb e Orsa). Ogni sindacato si frammenta poi in decine di sigle a seconda del settore di impiego (ad esempio Fiom, Fim e Uilm nel metalmeccanico o Snals, Flc o Unicobas nel pubblico)
E se c’è un argomento che riesce a non mettere d’accordo nessuno è la democrazia sindacale.
Si tratta, cosa certo non facile, di trovare un equilibrio tra due necessità diverse, quella di dare voce a tutti, ma anche di concludere un accordo. Eppure si parla di democrazia sindacale dal 1948 e una legge in proposito ancora non esiste
Dal 5 al 7 marzo nel pubblico impiego si vota per il rinnovo delle rsu, con un ritardo di tre anni. Il 28 gennaio scorso i sindacati di base hanno manifestato in nome della democrazia, contro quello che secondo loro è un meccanismo elettorale iniquo.
Poche settimane dopo, il 18 febbraio, era prevista una manifestazione della Fiom, poi rimandata. Manifestazione, anche questa, in nome della democrazia, ispirata però da motivazioni completamente diverse.
È difficile intendersi anche sui termini: la democrazia dovrebbe essere garantita dal criterio della rappresentatività, introdotto nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori. Tutt’altra faccenda è però accordarsi sugli strumenti per misurare la rappresentatività.
Bisogna poi distinguere quando si parla di democrazia nei sindacati e democrazia tra i sindacati.
La democrazia interna ai sindacati dovrebbe essere garantita dall’articolo 39 della Costituzione, in cui si stabilisce che ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione. Condizione per la registrazione dovrebbe essere appunto la garanzia di un ordinamento interno a base democratica. Peccato però che l’attuazione dell’articolo 39 sia demandata a una legge che ancora oggi non esiste.

A complicare ulteriormente la situazione si è aggiunto il referendum del 1995, che modificando l’articolo 19 si proponeva di ridefinire il concetto di “sindacato maggiormente rappresentativo” in nome di una maggior democrazia e rappresentatività. L’effetto è stato però paradossale, tanto che è anche grazie al risultato di questo referendum se Sergio Marchionne ha potuto escludere Fiom dagli accordi su Pomigliano.
Va poi tenuto presente che le regole dettate per il riconoscimento dei diritti sindacali variano a seconda che ci si trovi nel settore privato o nel pubblico impiego. E se da una parte il pubblico, in cui le rsu sono elette dai lavoratori, è più democratico, non mancano le critiche dei sindacati non confederali al meccanismo elettorale.
Abbiamo intervistato, a questo proposito, l’avvocato Arturo Salerni, del Forum Diritti Lavoro, il segretario di Fiom Maurizio LandiniMichele De Lucia, tesoriere dei Radicali italiani, Sergio Gasparrini, presidente di Aran, Francesco Scrima, segretario di Cisl-scuola, Marco Paolo Nigi, segretario di Confsal e di Snals-confsal, Stefano D’Errico, segretario di Unicobas eMarcello Pacifico, presidente di Anief.

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